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Quasi a ridosso di Pasqua cominciano a fioccare i vari ordini nel mio shop e anche quest’anno mi sono resa conto di quanto anche voi preferiate gli agnelli pasquali di pasta di mandorle a quelli in carne e ossa. Considerazioni a parte, è da voi questa volta che traggo ispirazione per questo post, perché con le vostre curiosità e le vostre domande date spunti validi per raccontare cosa si cela dietro a questi prodotti, dagli agnellini, tipici dolci del periodo, agli zaffiri, delizie di pasta reale ricoperta e glassata da zucchero fondente, cacao, granella di nocciole e cioccolato. Lo scorso anno vi abbiamo raccontato in questo post la storia degli agnellini di pasta di mandorle e il perché si ritrova sulle tavole di tutti i salentini nel giorno di Pasqua, ma quest’anno, al contrario, approfondiamo qualche curiosità legata proprio a questi due dolciumi, raccontandovi anche le differenze tra pasta di mandorle e pasta reale, oltre a darvi dei suggerimenti per esaltare i sapori di queste golosità e stupire in tavola con abbinamenti ricercati. Apro una sola parentesi, perché amo raccontare a voi quel che io stessa imparo dalle persone con cui collaboro, gli addetti ai lavori in pasticceria: sapevate che gli agnellini pasquali, come dolce tipico, sono una derivazione, se così possiamo definirla, degli zaffiri? Gli zaffiri, anche detti dolcetti della sposa, così chiamati perché erano un tempo oggetto di omaggi e degustazioni durante i festeggiamenti dei matrimoni, hanno lo stesso impasto degli agnellini di pasta di mandorle. Proprio dagli zaffiri e dal loro impasto è derivato poi uno dei dolci tipici salentini emblema dei festeggiamenti pasquali, gli agnellini. Dopo questa piccola digressione, comincio col rispondere a una domanda che mi sento ripetere sempre più spesso: qual è la differenza tra pasta di mandorle e la pasta reale? La risposta è semplice, perché si tratta sostanzialmente della stessa cosa, ma ciò che differisce è in realtà la modalità di preparazione e il gusto stesso di una e dell’altra, una rigorosamente con mandorle fresche, tritate in modo finissimo e cotte, l’altra con mandorle fresche e tritate, lavorata a crudo. Una nota importante da fare, a onor di cronaca, è quella relativa proprio a questo ingrediente principe, le mandorle. Le mandorle sono raccolte, sgusciate e sottoposte a un processo di lavorazione che ben differisce da quello che si attua per la preparazione della farina di mandorle, spesso prodotta con mandorle di seconda scelta e, generalmente, spezzate. Quello che si differenzia da queste, pur avendo una base di pasta di mandorle stessa, è in realtà il marzapane, preparato con un legante di albumi d’uovo che lo rende più compatto e, ovviamente, anche un po’ più “carico” dal punto di vista del gusto. La pasta di mandorle “pasta reale” salentina è tra le più rinomate al mondo perchè viene usata una mandorla ricca di olii essenziali, frutto dei andorlati baresi da cui proviene, e che rende il dolce gustoso profumato e morbidissimo. Volete sapere un trucchetto in più per enfatizzare i sapori già di per sè meravigliosi di questi dolci e rendere la vostra Pasqua ancora più speciale? Li ho sperimentati per voi e sono stupefatta della resa, provare per credere! Vi basterà stappare una bottiglia di Zaff, il liquore a base di infuso di zafferano che trovate nella sezione liquori del sito, per scoprire un gusto gentile e affabile che rivela solo dopo il primo sorso il sentore erbaceo che lo caratterizza. Dedicatevi alla sperimentazione, senza aver paura di osare: affettate l’agnellino di pasta di mandorle o prendete uno zaffiro, pucciatelo in un bicchiere di Zaff come se steste facendo colazione con latte e biscotti, oppure addentate il dolce e bevete un sorso di liquore subito dopo. Ci sarà un’esplosione di gusti, una declinazione di sapori che parlerà di un binomio vincente e irripetibile, un racconto di sud che parte da frutti piccoli e deliziosi quali le mandorle, che diventano regine indiscusse in prodotti dolciari di altri tempi.
Ritorno sul blog con una storia che mi sta molto a cuore, perché racconta non solo i segreti che si celano dietro a ogni prodotto Le Mille Voglie, ma perché racconta anche di un amico, di un’anima sincera e con una voglia di fare unica, che è riuscito a divenire quel che è solo grazie al suo entusiasmo e alla sua passione per l’arte della pasticceria: Giuseppe Zippo. Giuseppe è un ragazzino irrequieto, che cresce con la nonna. Il suo papà lavora in Svizzera, sua mamma è una bracciante agricola, lui trascorre i pomeriggi con il fratello, col quale come tutti i bambini ha scontri e baruffe tipiche dell’età. Per questo la sua mamma per evitare di creare disordine e di farli stare troppo tempo insieme, quando Giuseppe ha solo 8 anni, decide di portarlo con lei nei campi, per intrattenerlo con piccoli lavoretti. La proprietaria del campo in cui la mamma lavora, però, vedendo quel bambino ancora così piccolo, avanza una proposta: perché non mandarlo nella bottega del marito, falegname, a imparare “un’arte” spendibile anche un domani? E così Giuseppe comincia a frequentare la falegnameria di mastro Enzo, con ben poca voglia, a dirla tutta. Il posto non è esattamente quel che si definisce un luogo sicuro per un bambino, tra attrezzi del mestiere come seghe, trapani, smerigliatrici. Giuseppe si annoia, ma nei suoi pomeriggi nota che proprio di fronte alla falegnameria c’è una pasticceria. Proprio quella sarà la svolta che darà poi forma a tutti i suoi sogni e al suo cammino, ma Giuseppe è ancora piccolo, non ha idea di quel che sarà il suo futuro. Comincia a frequentare la pasticceria, è così piccino che per arrivare al bancone sale su una cassa d’acqua rovesciata, ma il lavoro gli piace, gli piace tantissimo! Lo appassiona così tanto che il pensiero di andare in pasticceria gli serve da sprone per finire presto i compiti e correre a impastare, a scoprire l’arte dei dolci, gli impasti, le consistenze e la sofficità delle creme. Continua così sino al 1997, ben sei anni in cui ha appreso, sperimentato, sbagliato, sino a che la pasticceria Le Mille Voglie - sì, si chiamava proprio così!- non si ritrova a chiudere. La mamma di Giuseppe lo vede così preso da trovare una seconda opportunità, la pasticceria Tre Pini a Tricase, in cui lo accompagna ogni giorno a bordo del suo motorino, e qui Giuseppe perfeziona l’arte, sino al 2000. Una volta compiuti 16 anni era finalmente nelle condizioni di poter sottoscrivere un contratto, tanto che parte per la stagione estiva a Firenze, presso la rinomata Caffetteria Nannini. In quinto superiore un brutto incidente lo costringe a uno stop forzato, che però gli riserva una bella sorpresa: Giuseppe infatti conosce Federica, la sua attuale moglie, che sposa nel 2009. Nel mentre passa una fetta di vita fatta di selezioni come uno dei migliori alunni della scuola alberghiera che frequenta e che lo porta per uno stage a Sharm el Sheik e da lì a Castro e poi nuovamente Firenze. Ma la città non fa per lui: il paese è il suo primo amore, è a dimensione umana, c’è il calore del saluto tra le persone al mattino, i ritmi più lenti, l’empatia tipica della gente del sud. Giuseppe rientra e acquista la sua prima pasticceria. Ha solo 19 anni, è il 2003 e con l’aiuto dei suoi genitori, e di Federica, inizia la sua grande avventura. Nel 2011 la sua mamma amatissima viene a mancare e Giuseppe ha un crollo fisico ed emotivo grandissimo, tanto da sentirsi così demotivato da voler chiudere; pensa di intraprendere una strada come consulente esterno, forte anche del fatto che nel corso degli anni si è confrontato con mastri pasticceri di fama internazionale. Parliamo di un periodo consistente, due anni trascorsi a denti stretti, tra decisioni che incalzano, ripensamenti, malinconie. Prevale la voglia di fare, prevale la capacità di un uomo di plasmare la sua strada. Il 9 luglio 2014, un mercoledì, Giuseppe Zippo si trasferisce nel suo spazio, che è ancora il suo mondo attuale: la pasticceria Le Mille Voglie di Specchia, un punto di riferimento in paese, ma anche per le realtà limitrofe, in cui Giuseppe dà sfogo a tutta la sua creatività e maestria in campo dolciario. Un nome che è un omaggio ai suoi inizi e che, ancora oggi, è un laboratorio attivissimo con all’attivo prodotti di livello, gusto, con sperimentazioni e un occhio sempre a novità e ingredienti alternativi. Una storia di cuore, amore e scelte.
Selezionare i prodotti tipici salentini che faranno parte del mio shop è, più che un impegno, un tenere fede a un patto fatto quando ho deciso di dedicarmi a questa attività. Mi ero posta come obiettivo quello di offrire una rosa di squisitezze che si distinguessero dai classici prodotti, tanto nel ciclo di produzione, quanto nel risultato finale. Ed è proprio per questo motivo che ogni new entry è frutto di ricerche appassionate, incontri, caffè al tavolo attorno cui costruire sodalizi e intraprendere nuove collaborazioni. Nulla è dato per scontato, devo scoprire, conoscere e...assaggiare, ovviamente! Introdurre le confetture è stato un lavoro vero e proprio, non volevo niente che fosse artificioso, ma piuttosto volevo che anche questi deliziosi vasetti, come ognuno dei miei prodotti, avessero oltre a un gusto anche una storia da raccontare. Le confettura extra La Pezza hanno un’anima, quella di Claudia Borrello, a capo di un’azienda attenta alla biodiversità e alla natura. Una storia di imprenditrici donne, professioniste di spessore che hanno lasciato tutto per dedicarsi anima e corpo alla nostra terra, con sacrificio, certo, ma con la marcia in più ell’offrire prodotti di eccellenza. Claudia è una combattente, ha un cuore rivoluzionario e la saggezza di chi si accosta alla natura tendendo l’orecchio, ascoltandone i ritmi, senza forzature, anche quando risultano impietosi e vanno a discapito dei raccolti. L’ azienda La Pezza prende il nome dall’omonimo terreno a Salve, in provincia di Lecce, in cui Claudia raccoglie i fichi destinati a essere lavorati in giornata, in modo che conservino intatte proprietà e gusto. Un frutto emblema di una terra come il Salento, sacro, dalle proprietà afrodisiache, oltre che nutritive, antinfiammatorie e lassative, derivante da una pianta che si rivela esclusiva del sud, resistente e ostinata. I fichi ben si prestano a una lavorazione naturale grazie al sapore avvolgente e pieno, divenendo confettura pregiata, utile per la preparazione di dolci sfiziosi, ma anche golosa e ricercata se accostata a formaggi e vino. Una marmellata naturale, senza conservanti nè pectina, con l’aggiunta di un ingrediente che fa la differenza: la cannella. A un primo assaggio prevale la nota speziata e intensa proprio di quest’ultima, ma subito dopo si avverte, deciso e fiero, il sapore del fico, per nulla dolce e stucchevole come si potrebbe immaginare conoscendo la dolcezza del frutto. Buonissima anche da degustare e accompagnare con il salato, tipo con semplici friselline, proprio per via di questo sapore non dolciastro. C’è una variante golosa che non posso non consigliarvi, quella della marmellata di fichi del Salento e mandorle (disponibile anche in un’ulteriore e squisitissima versione con fichi, cioccolato e mandorle), esplicito richiamo a un’antica ricetta salentina che attinge alla tradizione e alla nostra storia, quando le donne operose garantivano ai propri cari un dolce semplice, genuino, quanto ingegnoso: fichi essiccati al sole con al centro una mandorla tostata, insaporiti con spezie e, talvolta, scorzette di arancia o limone. Tra le confetture spiccano anche quelle con pere Petrucine a pezzettoni e non, fatte con un frutto antico, stagionale (matura entro la prima metà di luglio), autoctono e assolutamente pregiato, dalla polpa croccante, granulosa, e, ancora, quelle di mele cotogne. Un’idea regalo deliziosa e 100% made in Salento, come amo che sia.